MANIFESTO GUASTAFESTE — lesbitches

di Sara Ahmed. Un manifesto: una dichiarazione di principio, la dichiarazione di una missione. Manifesto: dichiarazione d’intenti di un individuo, un’organizzazione o un gruppo. Come scrivere un manifesto sulla guastafeste [1], o su ciò che fa, ovvero rovinare l’atmosfera? Un manifesto: il rendere manifesto. Questo è il senso che Moynan King attribuisce a Manifesto SCUM […]

via MANIFESTO GUASTAFESTE — lesbitches

L’alfabeto segreto del corpo vulnerabile

Felice martedì mattina e ben ritrovat*-e-+i su THE Q WORD!
Oggi torniamo ad occuparci di narrazioni del corpo all’interno del progetto THIS BODY PROJECT e lo facciamo parlandovi della vulnerabilità.
Ci sono animali (umani) più vulnerabili di altri: parliamo delle persone nate con una vagina e obbligate a leggersi come donne e a vivere di conseguenza, quelle che hanno una qualche forma di disabilità, i bambini e le bambine, quelle che soffrono di una malattia cronica o temporanea, quelle che fanno parte di narrazioni non-egemoni (non-binarie, LGBTIA, queer), quelle mestruanti, quelle che non hanno alcuna possibilità di integrarsi nella società perché ritenute inferiori o diverse rispetto ai cittadini e alle cittadine native-i.

corpo
Corpi vulnerabili

Dopo circa un anno dalla pubblicazione in Spagna, ho comprato e cominciato a leggere un libro che sapevo già mi avrebbe portato qualcosa di straordinario nella vita. Il libro si chiama Diario de un cuerpo, l’ha scritto la magnica Erika Irusta e l’ha pubblicato la casa editrice Catedral. Non esiste ancora una versione italiana del libro, ma spero di cuore che arrivi presto.
Il libro racconta di Erika, prima Pedagoga Mestruale al mondo: parla della sua vita dentro a un corpo, una psiche ed una emotività vissute attraverso il prisma dell’ipersensibilità. Erika, come me, è una P.A.S. (persona altamente sensibile, o ipersensibile) e per tutta la sua vita si è sentita vulnerabile. Erika parla anche di come tutte le donne (quelle che lo sono biologicamente fin da subito, tutte le altre donne e femmine lo diventano quando decidono di portarsi nel mondo come tali) siano animali vulnerabili, poiché nate, cresciute, educate e obbligate a vivere all’interno di un sistema (che Erika chiama La Norma) che le distrugge sistematicamente senza conoscerle, amarle, avere cura dei loro elementi e permettergli di vivere appieno la propria vita.

erika
Erika Irusta, autrice di “Diario de un cuerpo”

Ieri, guardando l’ennesimo spot pubblicitario accattivante per promuovere l’ennesima automobile appena sputata fuori dalla fabbrica, ho pensato alle caratteristiche tecniche e agli accessori:

10 altoparlanti
Amplificatore 6×55 W
Autoradio
Bluetooth
Climatizzatore
Comandi vocali
Connessione USB
Connessione dati
Controllo automatico velocità
Hill Descent Control
Hill Start Assist – (ausilio alla partenza in salita)
IDIS (Intelligent Driver Information System)
Navigatore satellitare
Schermo touchscreen a colori da 9″
Sensori di parcheggio posteriori
Servosterzo

Poi ho capito la connessione delle mie sinapsi…
La prestazione. La fottuta prestazione.
Ho fatto di tutto, tranne essere felice, per potermi dire che anche io riuscivo ad essere così prestante e quindi vivere di conseguenza.
La prestazione che la società e la cultura ci richiedono è basata su pilastri quali:

  • forza fisica
  • resistenza
  • massima produttività
  • resilienza
  • passività
  • sottomissione
  • perfetto stato di salute.

Ora, chiunque mi conosce da meno di tre minuti si rende perfettamente conto che io non ho nessuna di queste caratteristiche. No, questo non è esatto: le ho sviluppate a modo mio, in una mia versione, che non corrisponde in niente, manco lontanamente, al modo egemone di intenderle. La prestazione egemone che mi viene richiesta è per me impossibile da portare avanti. M’infrango, somatizzo, mi arrabbio, devo obbligatoriamente prendere le distanze, manco completamente li obiettivi.

Attraverso il libro di Erika ho capito, finalmente. Come posso, io, vivere una vita attraverso elementi, assetti, costruzioni e aderenze a valori, comportamenti e richieste che non mi appartengono, che spesso mi disgustano, e che non posso.voglio soddisfare in nessun modo? Non c’è corrispondenza fra quello che la società mi richiede e quello che io posso restituirle.
La prestazione egemone richiede presenza costante, iperproduttività, nessuna assenza consentita, nessun disturbo fisico che non sia trattabile con una bomba di aspirina, antipiretico e sciroppo (tutto il resto è malattia e non serve ai fini produttivi).
C’è anche un altro tipo di prestazione, quella relazionale, che invece prevede: costanza, presenza, attenzione massima, generosità, obbedienza cieca ai desideri dell’Altro, ascolto, accoglienza, resilienza, libido eternamente alta, assertività, verità e trasparenza, salute, allegria, energia per fare miliardi di cose sempre diverse per non annoiarsi, voglia di viaggiare…
Non si può neanche così, credo. Almeno non io. Troppo per una sola persona.
Chi mi conosce adesso da almeno quattro minuti sa che per me non è possibile mantenere la prestazione relazionale (fra partners, amiche.amici.amic*, membri di una famiglia) così come è concepita e costruita, come ci obbligano a viverla e a performarla.
Così ho deciso di cambiare completamente focus e comprendere davvero quale sia la mia via per abbandonare la prestazione egemone.
Chi è accanto a me dal primo di gennaio (o da prima) sa che spesso non posso essere presente, che mi accade sovente di mancare agli appuntamenti, che non posso esserci anche quando desidero fortemente stare, partecipare, presenziare. In questo mese e mezzo ne ho sofferto brutalmente, poi ho deciso di raccontare con onestà quello che stava accadendo intorno a me, dentro al Sanatorio, come affettuosamente ormai lo chiamo io, e le persone della mia rete affettiva hanno compreso. Io manco, spesso. E sono vulnerabile. Sono vulnerabili, ognuno-a-* a proprio modo, anche le persone che compongono le mie famiglie e quelle che fanno parte della mia rete affettiva. Lo sono tutte. Perché sono donne (in tutte le loro narrazioni), perché portano nel mondo narrazioni differenti (LGBTIA e queer), perché sono precarie o disoccupate, perché sono non-comforming, perché sono malate, perché sono senza casa, perché sono senza supporto familiare. Tutti-e-* noi siamo animali vulnerabili.

Ci ho messo una vita a capire che vulnerabile non è sinonimo di fragile.

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La cover del libro di Erika Irusta, “Diario de un cuerpo”, pubblicato da Catedral

Erika ha scritto le più belle pagine sulla vulnerabilità degli animali umani che abbia mai letto nella vita. Ne traduco una pagina affinché possiate leggerla anche voi, nella speranza che venga tradotto in italiano questo libro formidabile.
Ecco le parole di Erika:

“Un corpo vulnerabile è un corpo con possibilità di essere vulnerabilizzato. Mentre un corpo normativo è un corpo con capacità di vulnerabilizzare. I corpi vulnerabili sono di molti colori. I corpi normativi sono di un solo colore. Uno dei principali tratti dei corpi vulnerabili è che sono corpi definiti, questo è: scritti e letti dai corpi che comandano e regolano (corpi normativi). Questi ultimi stabiliscono la norma e intorno ad essa danno vita alle politiche: la politica dei corpi. La Norma è invisibile, funziona come l’ultimo strato sommerso di un iceberg. La normalità è quello che crediamo di vedere. L’abbietto, il vulnerabile, è ciò che rimane occulto.
In realtà siamo noi corpi vulnerabili che sosteniamo la norma. Questo è uno dei nostri dolorosi paradossi. Aspiriamo alla norma perché la vita fuori da questa ci pone in una situazione di vulnerabilità. Nessuno(a-*) vuole essere vulnerabile. In ogni caso è “meglio” avere la possibilità di vulnerabilizzare. Per questo finiamo con l’essere educate (i-*) ad essere protette (i-*) dalla norma e per aspirare a sfiorare il potere che dà il sentirsi all’interno di essa. Potere che non è altro che una macabra illusione perché i corpi vulnerabili non potranno mai ostentare il potere dei corpi normativi. Non dentro questa norma, la loro Norma.
[…] I corpi normativi sono morti. In loro non esiste breccia attraverso la quale respirare. Sono morti, finiti. Sono così detti che al pronunciarli si spaccano la bocca. Al contrario, i corpi vulnerabili respirano attraverso la ferita. La ferita li mantiene in vita. Terribile paradosso nuovamente. Sono vivi solo perché sono sensibili alla morte.”

Alla prossima gente! 😉

Manifesto per una pratica di decostruzione

Siamo personcine che sentono la vostra mancanza, noi di THE Q WORD!
Non lasciamo trascorrere troppo tempo senza scrivervi e proporvi qualcosa di nuovo.
Dopo l’ouverture introduttiva, l’intervista a Lorenzo Gasparrini, le info dal mondo sui progetti di decostruzione della mascolinità e maschile egemone e la recensione del magnifico libro di Chiara Volpato (Psicosociologia del maschilismo), eccoci con un nuovo post de L’Altro Maschile.
Oggi parliamo non più di teoria, bensì di pratica, di alternative e ipotesi di decostruzione e costruzione che possano essere inserite in un contesto di realtà sociale, culturale ed educativa .
In queste ultime settimane ci stiamo spaccando il cervello per trovare nuovi percorsi di costruzione ed oggi vi proponiamo alcuni spunti che ci sono venuti in mente sui quali iniziare a ragionare insieme.
Cominciamo?

1

  • Riconoscimento della società eteropatriarcale nella quale viviamo e comprensione piena dei meccanismi che la alimentano attraverso gli agiti umani collettivi che tutte-i-* noi mettiamo in campo quotidianamente attraverso assetti.gesti.linguaggio.agency;
  • riconoscimento dell’esistenza di una UNICA mascolinità egemone ritenuta valida secondo tale società e smantellamento collettivo di questa;
  • riconoscimento dei privilegi di cui gode SOLAMENTE un determinato tipo di maschile e di mascolonità (uomo bianco.cisgender.etero.abile.conforme.lavoratore);
  • riconoscimento e decostruzione della preponderante eredità culturale.educativa (e relativo imprinting) egemone trasmessa dai genitori (in particolar modo dalle madri) e dal sistema scolastico sessita.misogino.violento.maschilista;
  • comprendere attraverso quali meccanismi sociali, culturali ed educativi viene ritenuta valida la mascolinità egemone e performata attraverso il genere maschile cisgender;
  • comprendere come una unica narrazione di maschile e mascolinità sia all’origine dell’esclusione completa di tutte le altre narrazioni maschili non egemoni con le relative (sempre brutali e disumane) conseguenze (emotive.relazionali.fisiche.psichiche);
  • comprendere come una unica narrazione di maschile e mascolinità  rappresenti la base della piramide di violenza (e potere) gerarchica nelle relazioni umane e l’inizio dell’abisso per la costruzione del sé;
  • creare, accogliere e riconoscere come valide tutte le narrazioni di mascolinità  e maschile alternative non egemoni (o subalterne);
  • non chiedere.pretendere.obbligare le persone che vivono un proprio maschile ed una propria mascolinità di adeguarsi e performare gli stereotipi legati al maschile egemone all’interno di una relazione di qualunque natura (fra partners, genitori e figli-e-*, amici-* e amiche) ed agire in base al ruolo sociale che viene imposto come obbligatoriamente corrispondente (il padre di famiglia che porta a casa la pagnotta, il marito che è la roccia della coppia, il fidanzato che paga la cena, regala i fiori ed è sempre disponibile sessualmente, il figlio che deve trovare il suo posto nel mondo aderendo forzatamente ai comportamenti performati dai suoi coetanei);
  • confrontarsi con chi nasce.cresce.viene educato.vive.performa una mascolinità egemone riguardo a che cosa agisce.richiede.obbliga nei confronti di se stesso quotidianamente, che cosa la società gli impone di essere e performare, quale prezzo paga per aderire al “modello unico” (repressione sistematica delle emozioni, omissioni riguardo a parti importanti di sé e della propria vita, menzogne, solitudini, scelte che non corrispondono alla propria natura e non si condividono moralmente.eticamente.emotivamente…) e quale tipo di relazioni riesce a costruire sulla base di tale modello;
  • costruire e mantenere una comunicazione aperta fra tutti i maschili e femminili egemoni e alternativi (o subalterni);
  • creare spazi neutrali di ascolto.confronto.dialogo e conoscenza reciproca per affrontare, decostruire e porre fine alla violenza sociale e culturale all’interno dei quali tutte le persone possano essere coinvolte in maniera paritaria e possano interagire.relazionarsi.agire sinergicamente;
  • creare spazi di ascolto, supporto e accompagnamento all’interno dei quali i maschili e le mascolinità alternative possano denunciare le violenze subite e perpetrate da parte del maschile e del femminile egemone e da parte di quelli alternativi, ed essere accompagnate in un percorso di recupero completo di sé e della propria vita lontano dalla violenza;
  • dare voce.importanza.credibilità.ascolto a TUTTE le persone che subiscono agiti violenti.discriminatori.abusivi.lesivi della propria persona ed avere la possibilità di denunciare tutti i tipi di violenza tentando di costruire (a livello individuale e collettivo) stategie (sociali.culturali.relazionali.educative) efficaci per porre fine all’invisibilità e alla gerarchizzazione della violenza;
  • non perpetrare gli stereotipi collegati al maschile egemone attraverso il linguaggio.la forma di pensiero.di azione.l’attivismo;
  • evitare l’incasellamento mentale facile e pigro nella categoria e nel sottogruppo sociale quando si tratta di relazionarsi con una persona e agire di conseguenza (per esempio: una persona non è “tutti gli uomini” o “tutte le donne”, non è portatrice di tutti i difetti, punti deboli o grandi forze a loro attribuite, bensì è un individuo a sé e va pensato.sentito.percepito.trattato  come unico soprattutto dentro alla propria narrazione);
  • cercare di identificare con chiarezza e lucidità le trappole emotive e psichiche che si presentano nel momento in cui agiamo in un contesto di genere: discriminazione positiva e negativa, pregiudizi, richieste legate al ruolo, paternalismo, categorizzazione, pensiero binaristico sull’Altro;
  • per le persone, come noi di THE Q WORD, non-binarie: prestare grande attenzione a quale tipo di assetti, agiti e agency legati ai generi (binari) si portano avanti: a volte accade, ed è accaduto anche a me in prima persona, che per trovare e vivere un proprio genere personalissimo si performino e si portino avanti, inconsapevolmente, tentativi di costruzione di parti di sé che poco hanno davvero a che fare con la propria natura.desideri.volontà.benessere, ma che invece riguardano un mero “copia e incolla” di quello che si è sempre visto performare dall’Altro che, però, non è noi; stereotipi; manierismi; isterie; discriminazioni; violenze e sistemi di pensiero legati ad una affettività impari e gerarchica che sono in realtà la somma massima di una sincretizzazione di atteggiamenti nati proprio all’interno del sistema eteropatriarcale che si vuole decostruire;
  • supportare, ascoltare, accogliere e riconoscere come valide tutte le manifestazioni ed esigenze emotive.psichiche.fisiche.relazionali di chi ci è accanto, possibilmente  evitando di metterle in relazione con il genere: ipersensibilità, vulnerabilità, emotività, non disponibilità sessuale, manifestazione aperta dei propri sentimenti, possibilità di vivere liberamente la propria affettività relazionale, sono solitamente attribuite alle persone di genere femminile (cisgender), senza tenere conto che, al contrario, riguardano l’intero universo umano indipendentemente dal genere.orientamento.espressione. ruolo.identità. L’unica differenza è che ci sono persone che appartengono o vengono socializzate con un determinato genere alle quali viene loro “permesso e concesso” di agire socialmente tali caratteristiche emotive.psichiche.fisiche.relazionali, mentre per altre è estremamente disdicevole, quando non pericoloso, farlo;
  • decostruire l’idea e l’abitudine estremamente violenta che sia possibile.necessario.che sia abbia un qualche diritto di criticare.giudicare.deridere le pratiche o le non pratiche affettive.sentimentali.relazionali.erotiche.sensuali.sessuali delle persone;
  • interrompere l’abitudine di costituire il proprio sistema di pensiero basandolo su una graduatoria che attesta in maniera inequivocabile chi è più uomo o più donna rispetto ad altre-i: legittimare questa forma mentis significa continuare a squalificare tutte le narrazioni che prendono, per scelta consapevole e spesso per necessità, le distanze da un maschile o da un femminile egemone, invalidandole completamente e quindi sottraendo loro la possibilità di esistere ed essere riconosciute su un piano reale e quindi sociale, discriminandole, agendo una violenza nei loro confronti difficile poi da eliminare  nel breve.medio.lungo periodo e condannandole all’invisibilità e allo stigma sociale e culturale;
  • decostruire il pensiero che gli uomini trans* (transgender e transessuali binari e non-binari), le lesbiche butch e persone di generi non-binari possano minacciare i “veri uomini“. Nel pensiero maschilista egemone rappresentano un fastidioso memorandum in carne ed ossa che un’altra mascolinità e altri maschili sono possibili dentro ad altri corpi.narrazioni.generi. Contando che i “veri uomini” non esistono né sono mai esistiti né mai esisteranno, la minaccia complottista della loro scomparsa la si può smantellare a partire da subito. Prima è, meglio è.
  • Ultimo ma non ultimo: il riconoscimento della legittimità ad esistere. Tutte le narrazioni possibili del maschile fuori dall’egemonia eteropatriarcale sono valide e non perché qualcuno-a o qualcosa faccia loro il grande favore o la grande concessione di permettergli di esistere, ma perché sono già una realtà concreta, che esiste di per sé pur scontrandosi continuamente contro la mancanza di diritti, che resiste, che lotta per mantenersi in vita e non soccombere sotto i colpi (eterni e sempre tremendi) della società nella quale viviamo. La legittimità, l’accoglienza e il riconoscimento dell’Altro rappresentano il primo vero passo verso un nuovo modo di intendere, costruire e agire in un mondo nel quale un altro maschile (ed altri maschili) è davvero possibile.

Passiamo e chiudiamo… per il momento!

 

 

 

Le radici del maschilismo

Bentrovati-e-* su THE Q WORD! Proviamo uno strano affetto per la domenica mattina… c’ispira assai!
Oggi proseguiamo con il progetto L’Altro Maschile e lo facciamo partendo dalla recensione di un libro che fra queste mura è diventato, in pochi giorni, un testo fondamentale per riflettere, smantellare e agire attivamente per (tentare di) costruire un nuovo maschile possibile.
Parliamo del magnifico libro scritto da Chiara Volpato, Psicosociologia del maschilismo, pubblicato da Editori Laterza. Un libro agile, che sulle prime appare modesto, magari per quei principianti che si avvicinano adesso al tema. Beh, sorpresona!
Ci piace sempre rimanere sorprese-i-* qui a THE Q WORD! Quella brezza frizzante che sconvolge le sinapsi e fa muovere il culo è sempre piacevole.

Cominciamo con il dire che il libro è un testo che affronta non solo il tema del maschilismo in sé, ma anche tutti gli aspetti ad esso collegati: la violenza maschilista, la mascolinità egemone, le mascolinità alternative, la nascita degli stereotipi, i privilegi di cui gli uomini cisgender-bianchi-europei-eterosessuali godono senza saperlo o riconoscerlo, il backlash effect, la guerra fra i “sessi”, le dinamiche di distruzione sistematica del femminile e della “donnità”, il soffitto di cristallo, gli effetti della pornografia mainstream sulla costruzione di un maschile egemone, le discriminazioni sul lavoro, l’oggettivazione del corpo dell’Altro e la sua deportazione all’interno di un invisibile campo di concentramento dal quale uscire sembra impossibile.

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Il bel libro di Chiara Volpato, Psicosociologia del maschilismo

Chiara Volpato affronta tali temi con grande cura e chiarezza, permettendo a chi legge non solo di imparare immensamente, ma anche di stupirsi ad ogni pagina. Ovviamente lo stupore spesso si trasforma in indignazione, in un vago senso di vergogna di sé, e proprio per questo è un evento psichico ed emotivo di fondamentale importanza. Sono grande fan e assolutamente a favore della vergogna di sé quando questa ci mette sulla strada del cambiamento di assetto, di focus e d’azione. Personalmente, vergognarmi di me mi sta facendo un gran bene, poiché è una sensazione così acuta, spiacevole e disturbante che mi obbliga a fare il possibile per porvi rimedio con quella tipica velocità che solamente l’emergenza richiede. Così smantello, piccono da dentro, rifletto su ciò che in prima persona agisco, ripeto e costruisco attraverso la violenza, la discriminazione, lo stereotipo e la difficoltà di riconoscere come valida la narrazione dell’Altro se si discosta troppo dal (mio) accettabile e comprensibile.

In questo libro vengono chiarite e portate alla luce, in maniera esaustiva, molte delle radici che alimentano e saziano il sistema eteropatriarcale, il maschilismo, la violenza sessista e la disparità fra i generi.
Leggendo la maggior parte delle pagine si comprende come non si potrà mai sperare di vivere in una società funzionale, equa e priva di violenza, senza prima compiere un enorme percorso di conoscenza, consapevolezza e lucidità dentro se stess*-i-e, poiché l’agency di violenza, discriminazione e sopraffazione dell’Altro è dentro il tessuto che ci compone, che compone ognuno-a-* di noi, in maniera (purtroppo) inclusiva. L’essere umano prima e la società poi sono chiamati a compiere una riflessione fondamentale su ciò che stiamo performando, trasmettendo e vivendo, come valori umani. La chiamata è individuale e collettiva allo stesso tempo.

Lo straordinario lavoro di Chiara Volpato sta proprio qui: raccogliere le informazioni, trasmetterle, farti sentire così tanto a disagio, smosso-a-* e interessat*-a-o da fari muovere i muscoli della mente e del cuore insieme, forse per la prima volta.
Un testo imperativo per decostruire, conoscere e riconoscere ciò che si agisce, senza più l’alibi che ci permette di poter dire: “Ma io non lo sapevo!”.
Adesso lo sappiamo.

L’Altro Maschile nel mondo

Buona domenica a tutte-i-* e ben ritrovat*-i-e su THE Q WORD! Nuovo post domenicale per il progetto L’Altro Maschile.
Nulla è dolce come la domenica mattina, se non si lavora!
Per chi ci legge oggi, una chicca dal mondo…
In questi ultimi anni molto si è mosso a livello internazionale al fine di decostruire la mascolinità egemone, il maschilismo ed il maschile stereotipizzato.
Da molto tempo seguo diverse persone di grande ispirazione per me: una di queste si chiama Pol Galofre Molero, è un ragazzo trans di Barcellona, è attivista transfemminista ed è responsabile, insieme a Miquel Missé (che abbiamo intervistato qui su THE Q WORD), di Cultura Trans di Barcellona.
Pol si occupa di decostruire la mascolinità egemone, gli stereotipi che riguardano il maschile etero-cis-normativo e la violenza maschilista. Lo fa in maniera eccellente da diversi punti di vista.
Una manciata di giorni fa ha postato sulla sua pagina di Facebook uno speech che ha tenuto per TedxReus proprio su questi temi. Lo speech è in castigliano, non ci sono ancora traduzioni ed io gli ho cortesemente chiesto di inviarmi il materiale cartaceo per poterlo tradurre per voi. Per ora il materiale non è ancora stato inviato, ma se dovesse arrivare in tempi ragionevoli lo traduco e lo posto senz’altro affinché possiate dargli un’occhiata (ne vale veramente la pena!).
Ciò che posso fare è lasciarvi il link al suo speech su TedxReus (spero che fra voi ci siano castigliano-hablantes)… Eccolo:

https://www.youtube.com/watch?v=RhUYfwVb6dg

Altro arriva dalla mia amata Spagna! Loro sono straordinari e sono in pista da una notevole quantità di anni per promuovere l’uguaglianza fra i generi e lottare per un mondo più equo per tutte le persone: parlo dell’associazione di uomini per l’uguaglianza di genere, ovvero AHIGE. Asociación de Hombres por la Igualdad de Género. Hanno base a Madrid, ma portano i loro progetti in giro per la Spagna. Partendo dalla cultura, dell’educazione nelle scuole ma soprattutto cominciando da sé, dalle loro relazioni affettive e dalla risposta sociale e culturale che il mondo porta avanti per quanto riguarda discriminazione, violenza e sessismo, loro decostruiscono per costruire il nuovo, si confrontano con la cittadinanza e con la cultura egemone per trovare altre vie possibili, trovare una breccia da aprire per far passare nuovi concetti, formulare ipotesi che funzionino nella realtà e creare altri maschili vivibili, integri.

Ecco il link alla loro pagina Facebook e al loro sito:

https://www.facebook.com/asociacion.ahige/

http://ahige.org/

Dall’America Latina ci sono diversi progetti di costruzione di altri maschili possibili lontani dagli stereotipi. Uno che mi piace particolarmente è quello promosso in Argentina e in Cile che si chiama Hombres Tejedores (Uomini tessitori): uomini di ogni genere, orientamento, ruolo ed espressione si ritrovano insieme per fare la calzetta e confrontarsi sui temi che vanno dall’educazione non-sessista dei figli e delle figlie a come decostruire la violenza partendo dall’azione pratica e creativa di qualcosa di semplice (come fare l’uncinetto, per esempio) .
Vi lascio il loro link su Facebook (la loro pagina attualmente è irraggiungibile, ma speriamo la ripristino presto):

https://www.facebook.com/hombrestejedores/

Per ora è tutto, ma se trovate anche voi progetti, associazioni e movimenti per la costruzione di altri maschili possibili… segnalatecelo qui e ne scriveremo il prima possibile.

Stay tuned! 😉

 

Lorenzo Gasparrini: l’Altro Maschile possibile

Qui le promesse le manteniamo. Vi avevamo promesso una sorpresa, vi avevamo promesso un ospite d’eccezione… eccolo: Lorenzo Gasparrini.
Questo è il primo post ufficiale del progetto L’Altro Maschile e lo battezza Lorenzo.
Per quella manciata di persone che non lo conoscono ancora, di lui possiamo dire che:

  • è il fortunato scrittore di un libro che sta avendo un ottimo successo di critica e di pubblico: Diventare uomini. Relazioni maschili senza oppressioni, pubblicato da Settenove edizioni
  • è un blogger di fama e gloria contundenti: suoi sono infatti i magnifici blogs Questo uomo no e La filosofia maschia
  • è un brillante filosofo: fra i migliori in circolazione, uno che sa davvero di cosa parla, una delle migliori menti (in funzione, per fortuna!) di questa generazione
  • è un padre (e marito) devoto alla cultura e all’educazione non sessita, non maschilista e inclusiva.

Tali credenziali possono bastarvi? Noi pensiamo di sì.
Se siete d’accordo cominciamo subito con l’intervista e lasciamo la parola a Lorenzo…

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Lorenzo Gasparrini

Ciao Lorenzo, benvenuto su The Q Word! È un piacere averti come ospite.
Con la tua voce e la tua presenza battezziamo ufficialmente la nascita del progetto L’Altro Maschile. Tu sei un blogger, uno scrittore, un padre molto impegnato nella decostruzione del maschilismo ma anche nella costruzione di un altro maschile possibile. Che cosa significa, nella tua esperienza, decostruire i fondamentali del maschilismo eteropatriarcale?

Significa riconoscere i condizionamenti e le scelte non libere che mi fanno credere a una idea di “uomo” quale sono – o quale ero, non saprei dirlo – e criticarli sia nella loro “genealogia” (da dove vengono? Che origine hanno?) che nella loro “teleologia” (a cosa servono? Che scopo hanno?) affinché non siano qualcosa di legato alla mia natura di uomo bianco occidentale eterosessuale.

Hai pubblicato un libro molto importante sull’argomento Diventare uomini. Relazioni maschili senza oppressioni (pubblicato nel 2016 da Settenove edizioni), nel quale affronti diversi aspetti del maschilismo. Com’è nato il progetto del libro?

L’editrice ha conosciuto il mio lavoro e mi ha chiesto un testo divulgativo ma documentato su tutti gli argomenti che tocco nei miei scritti e nei miei incontri. Inizialmente non sapevo come risolvere questo problema, poi la soluzione è stata molto semplice: racconto una specie di biografia di un bambino, un ragazzo e poi un uomo che vengono “normalmente” educati al sessismo. In questo modo, dalla scuola alla pornografia, dalla sessualità alle disparità sui luoghi di lavoro, sono riuscito a dire qualcosa di sensato, credo, su argomenti ancora troppo poco toccati in Italia.

Secondo te, come mai si parla sempre di violenza maschile e non di violenza maschilista?

È più che ovvio usare l’aggettivo “maschile” visto che a praticarla sono perlopiù uomini, e visto che identifica un atteggiamento più tipico degli uomini nei confronti di molte situazioni sociali. Nel linguaggio quotidiano “maschilista”, che sarebbe più corretto, è ancora una parola sulla quale ci sono pregiudizi: è una parola “femminista”, e quindi si porta dietro i pregiudizi contro il femminismo; è un derivato da un -ismo, quindi si porta dietro i pregiudizi contro ogni -ismo; è una parola usata perlopiù come dispregiativo, quindi si porta dietro un giudizio negativo che molti e molte non vogliono esprimere, per i più vari motivi. Purtroppo ci sono ancora molte resistenze a usarla, ma sarebbe più corretta anche perché farebbe capire che patriarcato e maschilismo sono strutture di potere e comportamenti oppressivi che possono vivere e agire persone di qualsiasi sesso, genere e orientamento.

La violenza maschilista è figlia di un paternalismo diffuso o ne è madre?

Diciamo che tra decidere se viene prima l’uovo o la gallina mi piacerebbe per una volta fare una bella frittata e spezzare questo legame generativo così dannoso.

uomini
Lorenzo con una copia del suo libro in mano

Leggendo il tuo libro ho trovato molto interessante il tema del paternalismo e si evince facilmente come sia messo in campo in maniera indiscriminata sia da uomini che da donne, di qualunque narrazione facciano parte. Come possiamo decostruire il paternalismo?

Credo che sia possibile farlo smettendo di immaginare come dovuti e ammissibili tutti quegli atteggiamenti nei quali concediamo a qualcuno una possibilità, una libertà che invece è suo diritto avere. Il paternalismo è quella forma di potere che maschera un rapporto gerarchico con una relazione, nascondendo il legame di potere e rovinando quello affettivo. Le cose vanno chiamate con il loro nome, e bisogna avere la forza di separare, anche nelle relazioni più profonde e sentimentalmente presenti, quello che non appartiene ai sentimenti ma all’esercizio di un potere.

Ipotesi di decostruzione: da dove possiamo partire tutti-e-* per cominciare insieme a frantumare il maschilismo e costruire una società differente? Dalla famiglia, dal linguaggio, dall’educazione scolastica e non, dalle relazioni affettive, dai mass media…

Dal linguaggio. Riconoscere che non parliamo né pensiamo nulla che sia totalmente frutto del nostro sentire e della nostra volontà, ma entriamo in un mondo già condizionato e caratterizzato in un senso sessista e che molto del nostro linguaggio – e quindi delle nostre abitudini di pensiero e di azione – sono impregnate di sessismo. Quando cambi incessantemente il tuo linguaggio cambi il tuo modo di pensare e letteralmente cominci a vedere e a vivere un mondo diverso.

Su quali valori possiamo costruire L’Altro Maschile lontano dalla performatività, dallo stereotipo, dalle isterie, dalle pressioni sociali e dal modello maschilista?

Mi è difficile pensare a dei “valori”, perché per me è una parola troppo vicina a un contesto morale nel quale spesso si nascondono pregiudizi. Preferisco pensare ad atteggiamenti lontani dal tradizionale modello maschilista: umiltà e rispetto verso gli altri generi, ironia nei confronti del proprio, ricerca di forme di espressione dei propri setimenti e dei propri desideri non violente.

Quanto dolore, disintegrazione e violenza sta creando la mentalità maschilista ed eteropatriarcale nella vita delle persone di tutto il mondo? Come interromperla cominciando dalla nostra vita e agendo in prima persona per decostruirla?

Va riconosciuta per quello che è realmente, chiamata col suo nome e ci si deve opporre a quella mentalità per quello che realmente è – maschilismo, e non altro. Un esempio: molte persone sono impegnate a combattere i quotidiani soprusi, pubblici e privati, compiuti in nome di una mentalità neoliberlista sfrontata e violenta nelle sue manifestazioni oppressive. Eppure, le analisi non mancano, si tratta in molti casi di violenza maschilista. Ma se non la si chiama così otteniamo il paradosso di avere persone pubblicamente schierate contro neoliberismo, il capitalismo e altre strutture economiche disumane, ma che poi esercitano nel privato delle loro relazioni quegli stessi poteri che pubblicamente condannano, discriminando negli affetti o mantenendo relazioni oppressive basate sulla dipendenza economica o su forme di violenza psicologica.

Un Altro Maschile è davvero possibile? Considero che sia una responsabilità di tutte-*-i pensare a come fare, indipendentemente dal sesso biologico, dal genere e dall’orientamento. Sei d’accordo?

Ne sono convinto anche io, e di entrambe le cose: stiamo parlando di una situazione sociale nella quale viviamo tutt@, non possiamo continuare a pensare che esistano questioni di genere che siano solo “delle donne” o della comunità LGBT. Se sono problemi sociali, sono problemi comuni.

Quali strategie metti in atto per crescere dei figli non maschilisti, non sessisti e lontani dalla violenza culturale e sociale che dobbiamo fronteggiare ogni giorno? Immagino che non sia molto facile…A questo proposito: come genitori, ma anche come non-genitori, come nonni-e, zii-e, amici ed amiche, educatrici ed educatori delle nuove generazioni, cosa pensi sia importante non performare più, cosa sia necessario eliminare e cosa sia fondamentale creare da capo per non trasmettere loro i principi del maschilismo?

Mi preoccupo soprattutto, nei loro confronti, di dargli strumenti critici per leggere intorno a loro le forme di potere che li costringono in cose che non hanno scelto o non hanno voluto. Sembra una cosa semplice, ma non lo è affatto: si tratta di educare e mantenere una sensibilità verso le libertà che sia insieme rispetto e immaginazione, spesso mettendosi in gioco insieme a loro. È proprio nel lavoro educativo di padre che mi accorgo che non c’è fine all’attenzione da posse alle forme di sessismo e di potere patriarcale: se li educassi a “essere” femministi li preparerei a un mondo che ancora non esiste. Invece vorrei che lavorassero a immaginarne uno diverso partendo dalla conoscenza di questo, che è ancora perlopiù sessista, patriarcale e maschilista.

Grazie mille Lorenzo, è stato un onore ed un piacere cominciare in tua compagnia questo progetto!

Per seguire gli scritti di Lorenzo Gasparrini e non perdervi le sue riflessioni, date un’occhiata qui:

http://www.settenove.it/articoli/diventare-uomini/333

https://lorenzogasparrini.noblogs.org/

https://www.facebook.com/lorenzo.gasparrini.anche.no

A presto!

 

 

 

L’Altro Maschile

Direttamente dal nuovo anno e dopo aver stracciato la lista dei fottuti buoni propositi, rieccoci su The Q Word!
Questo è il primo post del 2018 e per stupirvi abbiamo deciso di alzare l’asticella. Come potete leggere dal titolo, L’Altro Maschile, qualcosa di nuovo si muove qui su T Q W.
L’Altro Maschile è un progetto embrionale, gemello di quello che ormai conoscete tutte-i-*, il THIS BODY PROJECT, che comincia oggi, speriamo sotto una stella fortunata.
Ma che roba è L’Altro Maschile?

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Mo’ ti spiego…

Dopo una profonda riflessione durata più di anno, aver preso le distanze da movimenti, associazioni, collettivi e assemblee di tutti i tipi, mi sono ritrovato nel buio della mia stanzetta a dissentire su molto di ciò che veniva proposta come unica narrazione sul maschile. Si parla sempre di violenza maschile e non maschilista, si attribuiscono atti violenti solo ed esclusivamente a biouomini cisgender ed eterosessuali. Questa è l’unica narrazione che si presenta per una questione di numeri schiaccianti.
Sarei un benemerito coglione senza fondo e per giunta irresponsabile se togliessi importanza alla questione dei femminicidi, alle violenze domestiche, allo stalking e al mobbing che noi biodonne e donne di ogni narrazione dobbiamo affrontare senza sosta ogni giorno della nostra vita in tutte le parti del mondo. Queste sono verità inconfutabili e impossibili da revisionare, come invece piacerebbe fare a qualche movimento di orgoglio maschile!
Ho lavorato per sei mesi in una associazione per sole donne ed ho condiviso esperienze e racconti che neanche nei peggiori films dell’orrore, sono stato la figlia di un padre violento e abusivo, alcune mie amiche hanno subito violenze e sono state vittime di stupri, alcune di loro sono morte e le piango ancora oggi. Tutto questo non può essere taciuto ed io mi espongo da sempre affinché ogni tipo di violenza possa terminare il prima possibile.

Altrettanto coglione della peggior specie e pure criminale emotivo sarei se tacessi, insieme al resto del mondo, su una questione importante che però non viene quasi mai dibattuta seriamente: la violenza perpetrata per mano dei biouomini non è un tipo di violenza maschile, bensì maschilista.
C’è una differenza sostanziale: la prima è connaturata all’esistenza di chi è portatore di pene e si identifica con un genere cis, mentre la seconda riguarda tutti-e-* le persone che abitano in un sistema eteropatriarcale violento. La prima sarebbe una caratteristiche inscindibile della natura di chi la mette in atto, quasi una condanna senza appello che deve essere agita obbligatoriamente, senza possibilità di farci nulla… è fatto così, cosa vuoi farci!, la seconda è invece l’onesta figlia di una costruzione sociale-economica-educativa-relazionale che può essere e deve essere decostruita, processata e superata.

lotta
Combatti il patriarcato!

Quello che mi fa girare il culo, come dice la mia bella amica Anita, tatuatrice di anime, è che non si dia una leggitima importanza anche a tutte le altre forme di violenza maschilista messe in atto da biodonne cis e non, e da tutte le altre narrazioni che si definiscono femminili e maschili. Esiste una violenza di serie A e di serie B, e questo solo perché la matematica parla chiaro. I centri antiviolenza, che sono ormai sull’orlo della chiusura per mancanza di fondi, così come i centri di ascolto e i centri di salute mentale, registrano solo una misera parte di ciò che la violenza maschilista sta creando. Lasciamo poi perdere i misteriosissimi luoghi abitati dalle Forze dell’Ordine, che dovrebbero aiutare la cittadinanza…
L’omertà che esiste intorno ai casi di violenza all’interno delle coppie di donne lesbiche, uomini gay, gay-trans/lesbiche-trans e nelle coppie o relazioni poli di persone non-binarie è devastante. Non solo perché non ci sono ancora sufficienti spazi adeguati sul territorio per l’ascolto-l’accoglienza e l’azione diretta contro alcuni tipi di atti di violenza, ma anche perché la vergogna regna sovrana e l’isolamento è un pozzo da cui non si esce facilmente.
Mi sono confrontato spesso su questo argomento con una persona che amo da sempre e lei mi ha sempre riportato la sua struggente e tremenda esperienza su che cosa significa vivere e crescere all’interno di una famiglia dove il matronato è la legge. Mi ha anche parlato tanto di come le biodonne con le quali ha vissuto relazioni di amore importanti abbiano messo in atto violenze psicologiche, fisiche e forme continuate di abuso di ogni tipo nei suoi confronti. Questo genere di esperienze non si racconta mai, non si dice perché è una verità che nessuno-a-* vuole sentirsi raccontare o accogliere come reale, importante, ugualmente legittima.
La violenza maschilista perpetrata dalle madri nei confronti delle figlie e dei figli è molto evidente quando si lavora con l’infanzia e l’adolescenza: ho trascorso dodicini anni della mia vita con infanti, bambini-e di ogni età, adolescenti e giovani, ed ho visto in mille occasioni manifestarsi la “mano della madre”. Non sto parlando dei casi da cronaca nera che fanno tanto Malamadre, bensì della normalità, di gesti quotidinani e comuni, che nessuno vede, denuncia, ferma. Anche a questa violenza viene messo un freno solo nei casi limite, quando le vite dei più piccoli rimarranno segnate per sempre.

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La mano della madre

Non importa quale sesso biologico io abbia, quale genere o non genere mi appartenga e quale tipo di narrazione porto avanti nella vita; quello che importa è che come persona che vive inserita nella società anche io sono responsabile di ciò che la violenza maschilista causa: anche a me è capitato di agirla in qualche modo, anche a me è capitato e capita di non muovermi prontamente per fermarla quando ne vedo qualche esempio. Sono responsabile in prima persona, come tutte-i-* qui, di dover fare qualcosa per decostruirla, processarla e creare nuove alternative e proposte per una società diversa. Fino a qualche settimana fa non sapevo come fare: non basta essere femminista, non basta oppormi al sistema violento, non basta sfilare in piazza, non basta correggere (o tentare) le mie azioni per non portarla avanti nella mia vita. Non basta. Allora ho pensato che una delle cose che più amo fare è cercare l’Altro per confrontarmi, capire, decostruire, tentare nuove strade e, soprattutto, raccogliere le narrazioni differenti.
Da qui nasce L’Altro Maschile: cercare l’Altro Maschile, quello non ancora narrato o che non si è mai voluto narrare, quello fuori dai fottuti stereotipi isterici a cui ci stiamo rapidamente abituando, quello che cerca altre vie, che ci comprende tutti-*-e, quello che ha bisogno di spazio.tempo.linguaggio per manifestarsi e trovare una voce propria.

Il prossimo post sarà una vera chicca; avremo infatti un ospite speciale con il quale cominciare a parlare de L’Altro Maschile e tentare di formulare pensieri d’azione, ipotesi di decostruzione e critica costruttiva riguardo alla violenza maschilista e ad un altro genere di maschile possibile. Tutto questo chiacchierando amabilmente fra un filosofeggiare e l’altro.
Stay tuned!

Rosario Gallardo: la fottuta estasi dell’osceno

Ci sono cose che accadono e che bisogna raccontare, altrimenti sembra di non averle vissute veramente ed è un sacrilegio. Il 21 ottobre a me è accaduto Rosario Gallardo. Non di conoscere, non di vedere, ma di vivere Rosario Gallardo attraverso la presentazione del suo libro Estasi dell’osceno. Tattiche di pornoguerrilla (pubblicato da Golena Edizioni per Malatempora) da Nora Book & Coffee (fate un salto in via Delle Orfane 24d a Torino e vedrete di cosa parlo) e la sua performance live Coin-op ospitata da Cavallerizza Reale e promossa dal Fish & Chips Film Festival. Chi è Rosario Gallardo? Non ve lo posso dire in due parole, perché sarebbe come depotenziare un miraco in corso…
Oggi ho l’osceno onore e il blasfemo privilegio di presentarvi Rosario Gallardo all’interno del THIS BODY PROJECT in tutto il suo erotico splendore… Leggete qui!

1. Chi siete e quanti siete a fare parte di Rosario Gallardo?
Rosario Gallardo è un collettivo elastico. Il cuore è costituito da me e mio marito, ma a seconda dei progetti coinvolge anche altre persone come, ad esempio, il nostro giovane Manfredi, col quale abbiamo realizzato tra le altre cose anche il
cortometraggio O mio fiore delicato e la performance Coin-op.

coin-op
Rosario Gallardo nella performance Coin-op a Cavallerizza Reale

2. Il nome Rosario Gallardo, appurato che non si tratta di una unica persona, da dove nasce?
Lo abbiamo inventato cercando un nome che potesse essere percepito come
maschile e come femminile, che evocasse la ricorrenza e la sacralità della preghiera e la gajarderia sfrenata della lussuria.

3. Che cosa è la Pornoguerrilla e come la intendete-vivete voi?
Atti “pornoestetici” e di “esibizionismo sacro” realizzati attraverso la produzione di fotografie, testi, video, performance live a carattere pornoestetico, costituiscono la nostra pornoguerriglia. Tra le qualità principali vi è la rinuncia alla viltà rituale con cui le persone abbracciano la vergogna per la loro sessualità e per il loro corpo. Lo scopo è quello di destrutturare il nucleo culturale della castrazione sociale su cui si l’autoritarismo si poggia. Di fatto è la nostra pratica yoga-psico- magica antirincoglionimento, con la quale avere molti orgasmi e farne avere anche agli altri, guadagnando punti amore da spendersi in altre pratiche sporcaccione generatrici d’altro amore!

4. Da dove traete ispirazione per le vostre performance, films, articoli e libri?
Da tutto; da un prodotto dell’infotainment come da un ricordo d’infanzia. La nostra prima mostra fotografica Il culo dove si mette il pane era ispirata ai divieti imposti a Nicola bambino da sua nonna. Mentre l’azione Coin-op è costruita su una ricerca che portiamo avanti da anni come cam-girl/cam- boy nei live show via web.
Sexworking virtuale che ha dato vita già a un videoclip, a una performance
presentata per la giornata AMACI, oltre che a Coin-op, e costituisce anche una
pratica di finanziamento per il progetto RG.

5. Parliamo del libro da poco pubblicato da Golena Edizioni per Malatempora, L’estasi dell’osceno… un libro di forte impatto emotivo, quasi una sorta di diario personale, una cronaca del piacere, un insieme di scritti personali, intimi, autobiografici…
Sì, è sicuramente un testo costituito da fatti intimi e autobiografici ma non è
un’autobiografia. Vuole piuttosto essere un oggetto utile, una sorta di percorso in
cinque passi che accompagna il lettore attraverso i primi cinque misteri gaudiosi
gallardi. La visione proposta è queer e pornoguerrigliera. Purtroppo ho verificato che la sola lettura entusiasma ma non basta a liberare il vostro corpo e il vostro spirito dovrete accompagnarla con la pratica di solenni gesti pornoestetici di esibizionismo sacro e con la benedizione da compiere di persona alla sacra fonte del mio orgasmo.

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Cover del libro di Rosario Gallardo, Estasi dell’osceno. Tattiche di Pornoguerriglia

6. Che cosa è per voi l’oscenità?
Ciò che viene messo strategicamente al di là dei margini dal conformismo e dalla
normalizzazione. Non sono gli oggetti/concetti ad essere osceni di per sé, ma è
l’esperienza che abbiamo di loro. Freud, nel suo primo lavoro di ricerca, Il motto di spirito, dà una brillante interpretazione del piacere del motto; in quell’ottica, ad esempio, la battuta oscena è un momento in cui si allenta la pressione della censura interna. Nell’interpretazione del suo pensiero, la dicotomia tra desideri tollerati e ciò che richiede una rimozione è un pilastro necessario all’evoluzione psicologica dell’individuo capace di convivenza civile. Noi crediamo che sia parte di una meccanica di controllo sociale messa lì in malafede, tramandata e difesa coi denti da tutti perché a ben poche persone viene voglia di assumersi la responsabilità di rischiare una reale disubbidienza sulla propria pelle.

7. Che cosa è invece il Postporno?
Il postporno nasce negli anni ottanta, durante le lotte femministe, prosex e
sexpositive, durante la famosa Rivoluzione Sessuale. Artisti, intellettuali, pornostars e registi porno come Annie Sprinkle (pornostar), Michele Capozzi (che molto spesso ha fatto parte di Rosario Gallardo), Frank Moore (performance artist, sciamano, poeta, pittore, ecc), firmarono i Post-porn Modernist Manifesto con l’idea di lanciare un discorso sulla sessualità creativo e positivo, non assoggettato alla produzione meramente commerciale e machista del porno mainstream che all’epoca era un grande business. Oggi le produzioni che si definiscono postporno sono di natura molto diversa tra loro. La consapevolezza del peso politico e del ruolo chiave che i costumi sessuali e morali hanno nelle dinamiche economiche è spesso una caratteristica, ma ho anche visto postporno che era solo un po’ meno porno e un po’ più post e basta. La situazione della pornografia è molto cambiata negli ultimi trent’anni, grazie al web e alla tecnologia a buon mercato. Oggi la “pornografia” è una vasta varietà di voci spesso svincolate dal discorso economico, ad esempio l’amatoriale e le produzioni del porno indie hanno dato vita a una pornografia dialogica che costituisce generi e sottogeneri, discorsi, trame e chicche uniche e ricerche di sperimentazione. Il web è un inconscio collettivo che lotta per venire a galla.

8. Il vostro è un matrimonio molto fuori dagli schemi, a quanto si legge nel libro e a quanto si vede durante la performance. Avete trovato il vostro modo di non trasformarlo nella tomba dell’amore… Come avete costruito un matrimonio così fuori dalle norme e dagli obblighi culturali e sociali?
Siamo fatti così e ci siamo incontrati. Destino? Culo? Sì, tanto cazzo nel culo
sicuramente. Ho imparato che se l’innamoramento è qualcosa che accade
l’amore invece è qualcosa che va fatto e va fatto tutti i giorni, almeno una volta al giorno. Quando abbiamo gettato le basi del nostro rapporto avevamo appena vent’anni e questo ci è stato utile, a quell’età tutto è più assoluto, radicale, reale.
Abbiamo fatto voto di lealtà, prima di tutto a noi stessi e solo dopo abbiamo giurato di essere l’uno per l’altro sia amanti che madre e padre. E quando sono arrivati i figli, praticamente subito, non ci siamo vergognati di noi, optando per una pacifica omologazione sociale. Penso che sia importante una fede fanatica e una radicalità
violenta per rimanere autori del proprio stile di vita, ma anche tanti orgasmi e una sana pratica oscena. Probabilmente noi, senza Rosario Gallardo e tutte quelle
sperimentazioni che lo hanno generato, non saremmo così uniti e leali l’un l’altro.

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Una pic domestica di Rosario Gallardo

9. Maternità sovversiva: la tua, Maria, appare una maternità molto sovversiva, vissuta con grande slancio, passione e decostruzione, anche qui, delle norme. Mi ricordi un’altra Maria, Maria Llopis, immensa attivista Postporno spagnola e autrice di Maternità sovversive (anche questo libro pubblicato da Golena Edizioni). Come vivi la maternità?
Sono diventata mamma solo due volte, lo so che la terra è sovrappopolata ma a me
figliare piace troppo. Sono state due esperienze diverse e ho vissuto due aspetti
diversi di me stessa. Forse dipende dall’indole dei miei figli o dal mio momento
storico: col primo avevo le idee chiarissime, mentre col secondo mi sono sentita
completamente persa. Figliare ti strappa i demoni dal petto e te li sbatte in faccia, forse è questo stress su cui si appiglia il ricatto dell’omologazione. Ho conosciuto Maria Llopis prima che diventasse madre e poi l’ho rincontrata di recente durante il tour di “Maternità sovversive”. E’ molto importante fornire informazioni e conoscenze tali da supportare la costruzione di una cultura alternativa. Non tanto per sostituire un dogma con un’altro, ma piuttosto per dare un esempio della plasticità del reale. E’ diverso il mondo se ti hanno insegnato che le donne sono condannate a partorire con dolore (da dio onnipotente) e poi scopri che si può anche partorire con un orgasmo (alla faccia dell’onnipotente guastafeste).

10. La performance che ho visto il 21 ottobre a Cavallerizza, Coin-op, mi ha completamente fatta innamorare di Rosario Gallardo e di questo modo di intendere il corpo: quello che ho visto durante la performance è stata pura gioia, passione, libertà, conoscenza e coscienza di sé. Che cosa è per voi il corpo? Come lo usate? Come lo preparate prima di una performance? Come ve ne prendete cura?
Il mio corpo è il luogo della mia esistenza. Più che usarlo cerco di lasciar fluire in lui le vibrazioni, è una cassa di risonanza. Prima di una performance digiuno, limito il mio contatto con l’acqua e con le persone, cerco di avere più orgasmi possibili. E’ bello quello che tu mi scrivi della tua esperienza alla performance Coin-Op. Grazie, sento che sei stata con me. Per Manfredi era la sua prima esperienza Gallarda dal vivo e mi è sembrato praticasse qualche preparativo, Nicola invece bestemmia e cambia tutto fino all’ultimo istante. Credo che la bestemmia sia comunque il suo rituale preferito.

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Rosario Gallardo nell’opera performativa

11. Ultima domanda: nel libro il prologo è scritto da Diana J. Torres, mia madre di squirting e grande ispiratrice di tutto il mio lavoro di ricerca sperimentale sul corpo e attivismo; citate però anche Maria Llopis e Itziar Ziga, Paul B. Preciado… insomma, come me anche voi venite da una certa scuola spagnola che ha illuminato e sta illuminando una controcultura entusiasmante da almeno una quindicina di anni. Ho visto giusto?
In realtà quando abbiamo conosciuto le ragazze spagnole noi eravamo Rosario
Gallardo già da un pezzo e la pornoguerrilla era più o meno quella di adesso. E’ stato però molto importante, oltre che conoscersi, riconoscerci nella nostra affinità e instaurare un’alleanza. Noi siamo lupi solitari e non veniamo dall’esperienza dei collettivi e quello che ci lega non è l’aver fatto il corteo insieme o l’ideologia politica a monte, ma le affinità nelle idee e nei lavori specifici. Sinceramente non me ne frega un cazzo di chi si dichiara “attivista postporno”, anzi, odio la moda del postporno intesa come un porno non proprio porno ma “alternativo” e saccente. Io penso a Diana, Maria, Itziar come ad intellettuali, artiste, amiche. Diana inoltre è anche la mia madrina di squirting, mi ha fatta innamorare al primo sguardo e la sua lontananza è dura da digerire.

12. Un consiglio, una dritta o una frase illuminante per chi sta leggendo questa intervista…
Fatevi arrapare e non abbiate paura d’essere mostruosi, puzzolenti, troppo flosci,
troppo irruenti, troppo vacche, troppo larghe, troppo poco calde. I vostri genitali sono sede di piacere e non di vergogna e se serve svergognatevi pure perché arraparsi è l’unica via possibile. ll 6 dicembre (oggi!) è San Nicola, che porta i doni, fatevene uno e venite da noi a godervela un po’. Saremo a Bologna, ecco il programma:
-alle ore 19.00 saremo all’IGOR Libreria presso Senape Vivaio Urbano per la presentazione del libro Estasi dell’osceno. Tattiche di pornoguerrilla, conducono l’incontro le ragazze di InsidePorn.
-dalle 20.00 al Kinodromo per una selezione di corti dell’Hacker Porn Film Festival di Roma tra cui verrà proiettato anche O mio fiore
delicato, il nostro cortometraggio più blasonato!

Links utili per saperne di più su Rosario Gallardo:

http://www.golenaedizioni.com/page.php?176

https://www.facebook.com/rosario.gallardo.355?pnref=lhc.unseen

http://www.rosariogallardo.com/gallardo-tv/omiofioredelicato/

Benvenute-i-* nel mondo di Rosario Gallardo… 😉

 

 

 

ALICE ARDUINO: ATTIVISMO, PASSIONE E ARTE SOVVERSIVA

L’onestà intellettuale prima di tutto… Alice Arduino, fotografa-blogger-scrittrice-fotoreporter-attivista-artista-intellettuale sovversiva e grandissima donna combattente, è una mia amica. Ho pensato di intervistarla per il progetto “THIS BODY PROJECT” perché se c’è una persona che ama il corpo, lo ritrae e lo narra con passione, senza tabù e con incredibile onestà e tenerezza, quella è proprio Alice. Lo scrivo con chiarezza, il fatto che siamo amiche, perché sono di parte, perché adoro il lavoro di Alice, lo seguo con dedizione e cerco di promuoverlo in ogni dove e in ogni quando. Quindi, fatta la premessa onesta, vi presento Alice Arduino in tutto il suo splendore. Eccola per la prima volta su TheQWord, per il “THIS BODY PROJECT”.

  1. Ciao Alice, benvenuta su TheQWord! Per cominciare con il piede giusto… parlaci un po’ di te (chi sei, di cosa ti occupi…).

Mi chiamo Alice e sono una fotografa che si occupa di immagini sportive e di eventi. Da sempre militante e attivista, realizzo progetti a sfondo sociale occupandomi di temi sensibili, quali l’ambito LGBTI+, stereotipi sul genere, violenza sulle donne o catastrofi naturali, come il reportage sul terremoto che ha colpito l’Aquila nel 2009.

Il mio lavoro però, non si limita solo alla fotografia, mezzo con cui esprimo le mie azioni militanti. Realizzo anche opere artistiche con quadri ad olio in stile surrealista o di stampo fumettistico, ambito in cui esprimo me stessa in forme diverse e fantasiose. Ho un blog chiamato Talco Web (https://talcoweb.com/) in cui recensisco principalmente libri, films e serie tv che meritano attenzione per i temi trattati, diffondendo conoscenza e informazione su ciò che è già stato realizzato.

  1. Guardando i tuoi progetti fotografici ho notato che i tuoi scatti sono molto collegati alla questione del corpo: qual è la tua relazione con il tuo corpo e con il corpo dell’Altro?

Io ho un buon rapporto con il mio corpo. Mi piaccio e spesso lo uso nelle mie opere fotografiche. È anche più facile perché su di me posso sperimentare e decidere cosa voler rappresentare. Parto da un’analisi di me stessa per parlare anche degli altri. I miei pensieri e le mie riflessioni possono essere le stesse che ha un’altra donna o un uomo. I miei progetti devono far riflettere chi osserva. Lo spettatore non deve mai essere passivo, ma coinvolto in prima persona quando osserva una mia fotografia.

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Alice Arduino
  1. Come nascono i tuoi progetti fotografici?

Nascono dalla voglia di raccontare delle storie, di voler narrare qualcosa, pongono domande, offrono risposte ma allo stesso tempo possono essere interpretati in più modi da chi osserva. Sono aperta ad analizzare qualsiasi tema, ogni cosa che catturi la mia attenzione e che, secondo me, necessita di essere sviluppato più a fondo. Nei miei progetti c’è sempre il mio punto di vista, la mia visione, l’espressione dei miei valori e principi che però non tolgono una interpretazione più ampia del tema trattato.

  1. Hai voglia di parlarci del tuo progetto “Drag King- Uno sguardo sui generi?”

Il progetto nasce per caso, in poche ore, ed è stato realizzato in una giornata. Ero venuta a conoscenza di un laboratorio organizzato a Torino da un collettivo femminista chiamato Sguardi sui Generis e ho voluto analizzare la figura femminile e le sue trasformazioni da donna a uomo, attraverso il gioco dei Drag Kings, trattando gli stereotipi sulla figura femminile, sul modo di vestirsi, di comportarsi e di interpretare il ruolo maschio-femmina. Non avevo una idea chiara di come svilupparlo, ho semplicemente voluto narrare il corpo e le sue trasformazioni in più fasi dall’inizio alla fine della vestizione. Da qui, l’idea di rappresentare quattro immagini in sequenza che narrassero il passaggio. Ad ogni ragazza è stato chiesto di rappresentare una postura che secondo lei fosse “femminile” e successivamente “maschile”, prima con abiti prettamente femminili, dopo con indosso vestiti tipici maschili. Ognuna ha espresso il suo punto di vista in modo molto personale, evidenziando come il genere uomo/ donna è, effettivamente, una costruzione sociale. Il modo di vestire può etichettare una persona, incanalandola dentro quegli stereotipi uomo/donna che la società tanto ama. Ho voluto realizzare delle immagini che portassero alla riflessione di ciò che siamo e rappresentiamo. Il discorso è legato alla figura femminile più soggetta a critiche, qualora non rientrasse nei canoni prestabiliti (capelli lunghi, composta, educata, sensuale etc…) ma lo stesso ragionamento può essere allargato anche alla figura maschile, spesso intrappolata negli stereotipi di uomo forte e macho. Alcune foto realizzate sono state pubblicate nel libro in Il Re Nudo. Per un archivio Drag King in Italia, a cura di Michela Baldo, Rachele Borghi, Olivia Fiorilli (https://www.libreriauniversitaria.it/re-nudo-archivio-drag-king/libro/9788846738271), e nel 2013 è stata fatta una presentazione del libro ed esposizione delle opere presso la Libreria Feltrinelli di Torino.

Potete vedere le immagini del progetto al link: Drag King: uno sguardo sui generi (https://www.alicearduino.com/drag-king)

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Uno scatto dal progetto “Drag King: uno sguardo sui generi”
  1. Ho trovato straordinari gli scatti che danno corpo a Jacket & Naked e Raggi X, da cosa sono stati ispirati?

Jacked & Naked (2016) (https://www.alicearduino.com/jacket-and-nacked e Raggi X (2014) (https://www.alicearduino.com/raggi-x), sono stati realizzati per una riflessione sul corpo femminile. Il primo è una ricerca dentro se stessi, un progetto che nasce con l’intento di analizzare il corpo e l’inconscio attraverso foto artistiche, volto ad analizzare qualcosa di reale e tangibile come il corpo, ma anche astratto, non visibile, come l’anima. I graffi, le immagini corrose e lo sfuocato nelle foto esprimono le ferite che ognuno di noi ha sulla pelle e nell’inconscio. L’unione di due elementi che coesistono dentro di noi e si mischiano ogni giorno nella vita quotidiana, attraverso autoscatti che vogliono esaltare le curve del corpo femminile senza essere esplicite.

Il secondo, invece, analizza l’interno, lo scheletro, le ossa, ciò che ci rende esseri umani, analizzando tre fotografie di me, attraverso tre punti di vista differenti: se nello “scheletro della mano” si mostra il “dentro e fuori” con due foto ravvicinate, nel “teschio” la radiografia si incastra perfettamente come continuazione del corpo, nella “cassa toracica”, l’immagine è sovrapposta mostrando ossa e pelle in un’unica figura trasparente. Tre modi diversi di raccontare chi siamo.

6. Frocifissione è un’idea quasi blasfema e per questo vogliamo sapere tutto    ciò che la riguarda. Hai avuto problemi nel far conoscere il progetto?

No, assolutamente, ma credo che questo sia dato dal fatto che i canali dove è stata esposta l’opera erano neutri e non ha avuto molta pubblicità. Nel 2010 per la Giornata Mondiale contro l’Omofobia era in mostra presso l’Università di Torino e nel 2012 a “Io Espongo”, rassegna per giovani emergenti. Qui ha preso 20 voti, rispetto alla prima classificata che ha passato il primo step di selezione con 40 voti. È stata già una vittoria! In generale, sui social l’opera è stata criticata e considerata, appunto, blasfema, ma da altri è stata apprezzata e capita. Era mio intento creare una immagine forte che arrivasse dritta al cuore senza usare giri di parole, che trasmettesse sgomento, fastidio o ammirazione in chi la vedesse. L’obiettivo era non lasciare indifferenti e provocare emozioni nell’osservatore. Ho più volte dichiarato: “La mia intenzione è di creare scalpore, colpire e creare shock visivo e mentale! La mia non è un’opera blasfema ma ha in sé qualcosa di più profondo. È una DENUNCIA! Denuncia nei confronti di una Chiesa che si fa portatrice di verità e della parola di Dio interpretando la Bibbia, che proclama Pace e Amore ma è ipocrita, omofoba e razzista. La messa in croce sta a significare la SOFFERENZA che le persone omosessuali hanno e subiscono ogni giorno da parte di uno Stato che nega i diritti civili e di una Chiesa che ci addita come “persone che devono guarire da una malattia”. “Still Alive” ovvero “sopravvivere”. Sopravvivere ai soprusi che vengono inflitti ogni giorno alle persone omosessuali. Io rappresento una donna/uomo in croce che, al contrario di Gesù che è morto per redimere e salvare l’umanità e che aveva Dio a proteggerlo, non ha niente. Sono solo una persona umana che lotta per avere ciò che gli spetta! E lo farò con ogni mezzo possibile!“.

Naturalmente, non ho avuto l’appoggio da parte delle associazioni LGBTI+ torinesi ma solo di alcuni singoli. Spesso i miei lavori non sono considerati dalla comunità di cui faccio parte. Non ho mai capito il motivo, visto che lavoriamo nella stessa direzione. Le mie opere sono molto più apprezzate e sostenuti da persone eterosessuali! Non a caso, la maggior parte dei miei progetti, sono stati esposti presso la Galleria del MAU – Museo di Arte Urbana con cui spesso collaboro e che ringrazio ogni volta per lo spazio e la fiducia che mi concede.

Vorrei riproporre Frocifissione in altri contesti e sono sicura che solleverebbe molte polemiche. In tal caso dovrei anche pensare alle eventuali conseguenze e magari avere un avvocato per tutelarmi da eventuali attacchi legali da parte della Chiesa o delle istituzioni. Avessi i soldi, probabilmente spingerei maggiormente l’opera e farei in modo che possa essere pubblicizzata, discussa e criticata. In ciò che faccio ci metto sempre la faccia e il nome. Sono visibile e questo, a differenza di altri artisti che lavorano con pseudonimi e non si espongono direttamente, mi porta ad affrontare i problemi in prima persona.

La fotografia è visibile al link: Frocifissione (https://www.alicearduino.com/frocifissione)

 

  1. Ora, tu non sei solo una fotografa che si occupa di violenza sulle donne, corpo e terremoti, bensì sei anche la straordinaria narratrice-scrittrice che c’è dietro il monumentale progetto Celebrate Yourself. Raccontaci di cosa si tratta.

Celebrate Yourself è il mio ultimo progetto, pensato e promosso nel 2017 e che vedrà l’esposizione di una mostra in una galleria a Torino nella primavera del 2018. Le interviste sono state pubblicate sulla rivista Pride Online che ha creduto nella mia idea e ha dato spazio alle storie. Ho voluto parlare e raccontare con interviste registrare, scritte e fotografie, le vite delle persone appartenenti alla comunità LGBTI+. Sentivo la necessità di narrare la realtà, di andare oltre le etichette quali “lesbica, gay, bisessuale, transessuale”, mostrando persone con i loro hobbies, passioni, valori e principi. Volevo che parlassero di sé, dei loro amori, della vita di coppia, dei figli, delle relazioni sociali positive e negative, di tutto ciò che sono e fanno ogni giorno. Insomma, ho voluto esaltare le loro qualità. Queste persone esistono, ma sono ancora poco accettate nella società. Nonostante l’avvento delle Unioni Civili in Italia, mancano ancora molti diritti e le persone LGBTI+ sono sempre considerate persone di serie B.

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Alcuni magnifici scatti del progetto “Celebrate Yourself”

Il progetto ha un duplice obiettivo: da una parte vuole aiutare chi ancora non ha fatto coming out ad uscire allo scoperto, a togliersi il tabù della vergogna e la paura di non essere accettato/a. Dall’altro, vuole sensibilizzare maggiormente le persone etero rispetto a questo mondo, perché gli/le intervistati/e sono normali, fanno sport, vanno a teatro, suonano uno strumento musicale, cantano, vanno al cinema, cucinano, lavorano, e poi sono anche omosessuali e transessuali. Questo, però, passa in secondo piano, perché il fatto che ti piaccia un uomo o una donna, i tuoi gusti sessuali, non deve essere una prerogativa di discriminazione o di una mancanza di rispetto verso gli altri. Chi ha partecipato al progetto ha “celebrato se stesso”, si è messo in gioco, ha parlato senza nascondersi. Ha compiuto un atto di coraggio, qualcosa di non scontato, visto che molte persone omosessuali, ancora oggi, non si sono dichiarate alle famiglie o sul posto di lavoro. A loro va la mia gratitudine e un ringraziamento per aver portato avanti questa lotta insieme a me.

Il progetto è visibile sul mio sito: Celebrate Yourself (https://www.alicearduino.com/celebrate-yourself)

  1. Oltre alle tante cose delle quali ti occupi, tu sei anche una grande attivista per i diritti delle persone LGBTI+ e ti esponi in prima persona per battaglie quali il femminismo inclusivo, la violenza di genere e i diritti civili: come e quando è cominciata la tua vita di attivista?

Non c’è stato un giorno esatto. Fin dall’asilo mi piacevano le ragazze ma ammetterlo a me stessa e al mondo è stato lungo e faticoso. Mi sono innamorata di un’amica ma la cosa non era corrisposta. Da quel momento in poi non ho più potuto negare la mia attrazione verso il sesso femminile. Sono sempre stata una ribelle e casinista. Ho sempre voluto essere libera da ogni imposizione sociale. Nel 2006 a Torino è nato l’Arcigay ed ho iniziato a militare nell’associazionismo. Sentivo il bisogno di relazionarmi con altre persone simili a me, avere un luogo sicuro dove potermi esprimere. Qui ho preso sicurezza, sono diventata responsabile del Gruppo Scuole e andavo nelle classi a parlare con i ragazzi/e di omosessualità, sia come formatrice sia portando la mia testimonianza diretta. Ho fatto il mio coming out al mondo all’età di 26 anni, durante il Pride Nazionale di Torino. La mia foto sul carro uscì sulla prima pagina della Stampa. Ero felice e orgogliosa. Mi piace la visibilità perché è uno strumento di lotta, oltre che di soddisfazione. Da allora ho deciso che non mi sarei mai più nascosta e avrei aiutato gli altri a fare lo stesso, dando l’esempio con le mie militanze e progetti. Avevo intorno a me amici che mi accettavano, l’ho detto ai genitori e ho continuato a farlo e a parlare di me a chiunque incontrassi, fregandomene del loro giudizio. In fondo, se non ti piaccio o hai problemi con i gay, è affar tuo, non mio. Io sto bene con me stessa e questo è ciò che conta.

  1. Siamo due grandi fans dello straordinario lavoro di Diana J. Torres, attivista pornoterrorista, queer e puro corpo politico: cosa ti piace di lei e cosa ti appassiona del suo lavoro?

Adoro Diana perché è convinta delle sue idee e non si ferma davanti a niente. È una provocatrice e il suo obiettivo non è solo quello di scioccare con le sue performance ma anche di far riflettere le persone sulle ipocrisie presenti nella nostra società. Sono consapevole che talvolta è necessario smuovere gli animi delle persone con immagini e gesti forti per farle uscire dal loro guscio e costringerle a vedere. È diventata il mio mito quando ho scoperto del suo assalto pornoterrorista nella Basilica di San Pietro. Un attacco diretto alla Chiesa facendo partire le registrazioni di orgasmi nella navata centrale, mettendo a disagio i presenti e i preti. Ha colpito al cuore coloro che per primi promuovono la castità ma usano il sesso di nascosto per violentare bambini e fare orge. Li ha messi in imbarazzo davanti a tutti. Ammiro chi attacca in modo deciso i poteri forti senza paura.

Molti dei miei pensieri sono gli stessi di Diana. In maniera diversa e più pacata rispetto a lei, rivedo il mio lavoro di attivista, i miei valori, principi e le mie lotte. Con mezzi e metodi diversi, entrambe combattiamo per ciò in cui crediamo con l’obiettivo di smuovere le coscienze dormienti.

(Gli articoli scritti da Alice sul magnifico lavoro di Diana J. Torres li potete trovare qui: https://talcoweb.com/2017/11/03/la-lotta-contro-il-sistema-il-pornoterrorismo-di-diana-j-torres/

e qui: https://talcoweb.com/2017/10/10/il-potere-della-vagina-nella-rivoluzione-sessuale-di-diana-j-torres/)

 

  1. Un pensiero, una citazione o un consiglio per la nuova generazione di lettori-lettrici-lett* che ci seguono?

Non abbiate timori. Imparate ad ascoltarvi e a guardarvi dentro, superate le vostre paure. È necessario affermare le nostre idee e sogni. Siamo la nuova generazione, siamo quella che getterà le basi per il cambiamento. Impariamo dalla storia, dalle lotte femministe e da coloro che hanno lasciato il segno. Mahatma Gandhi diceva:

Siate il cambiamento che vorreste vedere nel mondo.

Sono cresciuta con questo pensiero e lo applico ogni giorno nella mia vita.

Dopo tanto splendore, adesso la parola passa a voi. 🙂

 

IL BUIO DENTRO L’ORO

Si pensa di trovare un riparo, un rifugio, di condividere la stessa battaglia, di trovare amici-amiche-amic*, di poter formare una nuova famiglia e di creare un’alleanza. Poi, senza sapere come, da grandi condivisioni, pacche sulle spalle e grandi momenti vissuti insieme, ci si trova deportate-i-* in un campo di concentramento umano spaventoso dal quale se ne esce perdendo tutto o quasi.
Non si crede più nell’idea che si portava avanti fino a quel momento, o si fa molta fatica a credere che la si possa portare avanti senza dover per forza essere costretti-e-* ad un gioco al massacro senza senso. L’autostima è distrutta, il senso di vuoto è inumano, il corpo s’infrange in mille somatizzazioni e cronicizza tutto il male.

Si pensa di trovare un riparo, un rifugio, di condividere la stessa battaglia: queste sono alcune fra le ragioni per le quali ci avviciniamo ad un’associazione, ad un collettivo, ad un’assemblea, ad un comitato.
Pensiamo che troveremo mani che si uniscono alle nostre, che percorreremo la medesima via, che lotteremo fianco a fianco per vedere i nostri sforzi tramutarsi in sogni realizzati. Lottiamo ogni giorno per i diritti, per la parità, per vederci riconosciuta la dignità ed il valore, per smettere di morire il silenzio-nell’abbandono-nella piena violenza.
A volte le associazioni, i comitati, le assemblee, i collettivi funzionano, altre volte, invece, diventano spirali infernali dove l’Altro è niente, vale niente, viene ridotto a niente.

Questo post è uno dei più difficili che mi ritrovo a scrivere, poiché mi tocca nel profondo e riguarda non solo la mia esperienza personale, ma anche la vita ed il vissuto di amiche-amici-amic* che hanno sofferto e stanno soffrendo a causa di qualcosa di cui non si parla, qualcosa che è un tabù assoluto e del quale difficilmente si riesce a trovare una via per parlarne senza enormi sensi di colpa.
Parlo dei giochi di potere distruttivi che ho trovato all’interno delle associazioni LGBTI+, ma anche dei collettivi pseudo-queer.
Ho visto e vissuto in prima persona ciò che avviene se ti rifiuti di rimanere un-a-* gregario-a-*, se desideri partecipare attivamente, se desideri portare proposte nuove, se il pensiero che porti è divergente e se dai fastidio ai-alle-a* capoccia di turno. Verrai prima messo-a-* da parte, poi il tuo pensiero ed i tuoi intenti verranno distorti e distrutti, in seguito verranno messi in atto giochini sadici per distruggere la tua vita, la tua relazione sentimentale, il tuo lavoro durato anni e portato avanti con rigore, sacrificio, abnegazione e passione, il tuo percorso personale (sottraendogli sistematicamente dignità, valore, importanza, onore) e, infine, verrai messa-o-* all’angolo, allontanat*-a-o in brevissimo tempo senza spiegazione con il bene placido del resto del branco che ti guarda sogghignando senza difenderti.

silenzio
Silenzio. Foto di Geeketto

Non si parla, non si può parlare, di cosa accade in alcune associazioni, gruppi, collettivi e assemblee LGBTI+ e queer perché si pensa che parlare, denunciare, esporsi, danneggerà l’intero movimento e l’intera comunità, ma io non posso rimanere in silenzio, perché so cosa sta accadendo in alcune realtà e se rimango in silenzio saprò per sempre di essere stat* complice.
Pensavo di essere l’unica persona ad aver vissuto una deportazione, una distruzione personale, una cacciata dal falso Eden, ma non è così ed è per questo che scrivo oggi, esponendomi, parlandovi di questo: amiche che stanno perdendo salute, contatti umani, possibilità di carriera… amic* che lottano per riconquistare credibilità, ma anche l’accesso all’affettività violata e devastata… amici che sono stati messi da parte, derisi, utilizzati come pedine per scopi associativi e pubblicitari e, una volta considerati inutili alla (propria) causa, minati personalmente e pubblicamente.
I giochi di potere, la gerarchia di dittatori-dittatrici- dittat* e di sudditanza-schiavitù è la stessa di sempre, quella che si critica tanto del mondo etero-patriarcale-cisgender-bianco-binario e che poi si ripropone ancora più ferocemente nella realtà LGBTI+ e queer. Si porta avanti (a parole) un manifesto di unità, condivisione, alleanza, ma è solo facciata, solo un modo per fare numero e raggiungere visibilità e credibilità. Chi non è al vertice è semplice carne da macello, né più né meno, manodopera a costo zero, corpi che servono solo per aumentare la visibilità e fare massa.
Detesto le citazioni bibbliche ma l’immagine che ho davanti adesso è proprio quella del lupo che si finge agnello, solo che poi devasta l’intero gregge o salva solo chi gli-le-* fa davveo comodo.
Rispetto alla gerarchizzazione del potere e la messa in atto della distruzione dell’essere umano come persona, credo che in una parte di attivismo LGBTI+, ma soprattutto in un particolare e specifico attivismo queer, la pericolosità sia massima, molto più elevata rispetto all’attivismo altro: spesso all’interno dell’attivismo LGBTI+ e queer troviamo persone altamente preparate sulla decostruzione del pensiero-identità-ruolo-orientamento-espressione, più specificatamente (nel caso del focus queer) sulla disintegrazione (teorica) del pensiero binario e delle norme sociali, culturali, identitarie ed educative ad esso collegate che si portano avanti da millenni.
Queste persone sono pericolose non perché decostruiscono il binarismo, che io stess* decostruisco da anni incessantamente e difendo totalmente come unica vera possibilità di avere un mondo plurale e ricco di narrazioni differenti e tutte ugualmente importanti, bensì perché utilizzano e strumentalizzano tali conoscenze per deportare, devastare e sovradeterminare l’Altro senza pietà, ergendosi a portatori-portatrici del Verbo unico e indiscutibile. Quando ci si oppone a tutto questo è la fine.

 
La manipolazione di concetti, idee e strumenti, è abominevole, soprattutto se portata avanti per tenere in scacco un’altra persona, imprigionarla, ed usarla secondo le proprie egocentriche e narcisistiche volontà.
Quando una persona manipola un’altra persona per i propri fini è violenza.
Quando una persona con maggiori conoscenze e strumenti li utilizza per soggiogare un’altra persona è violenza.
Quando una persona utilizza il proprio potere per tirare i fili emotivi-psichici-fisici di un’altra persona è violenza.
Quando una persona, forte del suo ruolo all’interno di un gruppo, esercita tale ruolo per sovradeterminare, minacciare, ledere un’altra persona è violenza.

Oggi ho parlato io. Spero che questa non rimanga l’unica voce.